Venezia è stata spesso oggetto di una tensione e di un desiderio mai sopiti da parte di scrittori e letterati, in una continua ricerca e fonte d’ispirazione, attraverso un immaginario con una pluralità e una ricchezza di significati.
 

 

Questi significati trovano spesso a Venezia un luogo elettivo, anche sotto forma di sogno, ed è proprio il sogno e la capacità di fantasticare ad occhi aperti come nell’infanzia che molti letterati hanno riscoperto a Venezia...

Secondo John Ruskin, nel suo famoso testamento ideologico “The stone of Venice”, l’arte di una nazione è indice preciso del suo temperamento morale e il declino di Venezia piu’ che per la resa ai Turchi o l’apertura della via per capo di Buona Speranza, inizia con l’immagine grossolana eseguita da Tiziano nell’ultima sua opera: la fede era diventata carnale.
Con il Rinascimento l’uomo è al centro e il formalismo estetico prende il sopravvento sull’ascesi gotica; Venezia diventa così l'archetipo che dà a Ruskin il pretesto per una parabola sul decadimento della morale e una critica della società quando il senso della cooperazione e dell’onore lasciano il posto alle regole del mercato. Il suo è un monito ancora attuale che da questa città si deve riverberare in tutto il mondo, sospeso tra apocalisse e utopia, Ruskin vuole almeno serbare un’immagine prima che vada perduta per sempre raccogliendo l’avvertimento delle onde che battono inesorabili, simili a rintocchi della campana a morto. Un immagine che poi Thomas Mann fece sua in "Morte a Venezia" e che Visconti rese magistralmente nell’omonimo film.

Monito che in qualche modo fu fatto proprio da Lord Byron. Infatti lo scrittore e poeta inglese, nei suoi 5 anni di vita Veneziana in un albergo, conferma questo senso di decadenza e presagisce la morte della città: “i palazzi vanno in rovina, la musica non si sente piu’, quei giorni sono passati resta solo la bellezza di questa gloria morente..”

Chi morì a Venezia nella sua casa sul Canal Grande fu invece Richard Wagner, non dopo aver composto "Tristano e Isotta"; egli fu forse ispirato da Venezia con geniale presagio funebre nella composizione del strascinato lamento del coro pastorale del terzo atto.

Un mattino a Parigi Marcel, il protagonista della romanzo “Alla ricerca del tempo perduto", inciampa in una lastra del pavimento; quel banale incidente evoca in lui un’analoga sensazione del passato che risale a una visita alla basilica di San Marco a Venezia, da quel momento il suo io frammentato e privo di senso si ricompone come un mosaico. “Il tempo ritrovato” è l’ultimo capitolo nella Recherche Proustiana di un lungo viaggio di scoperta che trova la sua ricomposizione a Venezia.

Quel viaggio a Venezia fu ispirato a Proust dalle lettura di Ruskin, e come tanti artisti, lo aveva sognato per molto tempo, convinto che Venezia sarebbe stata la summa delle sue esperienze culturali ed estetiche.

Quando Goethe nel 1786 arrivò a Venezia lasciando la sua carica di ministro, anch’egli realizzando il suo sogno giovanile, ebbe modo di scrivere “tutto cio’ che mi circonda è pieno di nobiltà, è l’opera grande e rispettabile di una forza umana concorde, il monumento magnifico non già di un sovrano ma di un popolo, anche se la potenza commerciale della Serenissima declina, nondimeno la sua struttura grandiosa e il suo carattere non cesseranno un istante di apparire all’osservatore degni di venerazione”.

A Venezia quindi sembra normale per gli artisti che i loro sensi si acuiscano. Scriveva infatti a riguardo il veneziano Luigi Nono “a Venezia s’impara a vedere e ascoltare l’invisibile e l’inaudibile, le pietre i mattoni, lo scuro, l’acqua, la luce, le cose ci parlano”. Forse perchè a Venezia non c’è quella patina di modernità che tutto omologa, confonde e ottunde.

Ed ecco un modo originale per guardarla, come ci suggerisce un altro veneziano illustre: Tiziano Scarpa invita a scoprila attrarverso il punto di vista dei sensi e il piacere che provano nell’attraversarla le mani, i piedi, gli occhi, le orecchie e il naso.

Un altro modo ancora piu’ poetico per scoprire Venezia è quello suggerito da Josif Brodskij: imparare a sentirsi un gatto lasciando che le cose vengano a noi finchè, come la luna ha il potere di controllare le maree, il gatto apparentemente passivo possiede il massimo di capacità selettiva che permette di cogliere i significati nascosti delle cose. “Io sono un gatto” Brodskij venne folgorato da questa sensazione di assoluta animalesca felicità una mattina a Venezia strusciando un muro in Fondamenta dei Mendicanti e strizzando gli occhi per guardare il sole. Da quel momento ci fu sempre un gatto dentro di lui e se non fosse stato per quel gatto scrisse “a quest’ora mi arrampicherei sui muri di qualche istituto per ospiti di lusso”

Oggi noi, gatti sapienti in un sorta di ozio creativo, possiamo godere della Venezia-terapia attraverso l’energia che la luce e l’acqua di questo luogo magico ci regalano ai muscoli, al cuore e all’anima...

 

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