Nella complessità urbanistica di Venezia un ruolo determinante è rivestito dalle numerose isole della Laguna che circondano la città rendendo l’area una sorta di mosaico naturale senza eguali al mondo.

Destino comune unisce la città alle sue isole, il degrado e l’incuria verso questo patrimonio insulare unico, ha recato e reca gravi danni a Venezia, depauperandola, oltretutto, di una parte connaturata al suo stesso esistere. Sembra davvero incredibile pensare a quanto brulicanti di vita fossero tutti questi luoghi, da tempo condannati ad un perenne oblio, salvo qualche meritoria eccezione, a dimostrazione del fatto che ancora è possibile coltivare la speranza di non vedere distrutto ogni angolo di Laguna.
Il recupero di San Servolo, di San Clemente, della Certosa, tanto per fare degli esempi, è una concreta dimostrazione di azione possibile. Il paradosso di Venezia e delle sue isole è legato alla prospettiva di uno sviluppo sostenibile, alla resa in termini di praticabilità di interventi, certamente costosi, a favore della crescita qualitativa dell’intero territorio.
La scelta di puntare sul turismo, nel riconvertire le isole non può risultare esaustiva, se si vuole ripensare ad un modello di territorio in cui la qualità della vita e delle occasioni di occupazione siano adeguate ai ritmi di un differente e più concitato quotidiano. La lentezza è divenuta un valore, non può, tuttavia, trasformarsi in un limite alla crescita. Non possono le isole, trasformarsi in orizzonti ultratemporali, Venezia non può arbitrariamente astrarsi in zona di sospensione temporale, anzi al contrario deve riprendere a correre per mantenersi vitale. L’idea dell’isola come luogo fisico limitato dalle acque è un tema caro agli speculatori di pensiero; tristissimo sarebbe, e francamente qualche rischio si intravede, che fosse cara agli speculatori edilizi pure come idea per fare quattrini!
Negli anni si è scritto, dibattuto, legiferato moltissimo, ad oggi, poco è stato fatto. Il solito bla bla dei dibattiti, il solito giuoco italico del rimpallo delle responsabilità tra organi diversi, i soliti progetti più o meno faraonici, insomma il solito nulla…
Arrivano a Venezia ogni anno milioni di turisti, a costo di sembrare banale, sorge spontanea la domanda: dove finiscono i denari che spendono in città? Possibile che nessuna cordata di imprenditori locali in concerto con le Università di Venezia, IUAV e Ca’ Foscari, abbia potuto elaborare e mettere in pratica dei piani di riuso di qualche isola?
Domande retoriche, la cui risposta è data dal riaccendersi di interesse verso questo tema, solo quando si scatena la guerra dei ricorsi tra privati e pubblico circa la reale proprietà del bene e la legittimità o meno delle procedure di messa all’asta del bene alienando, vedi isola di Santa Maria delle Grazie, ovvero rumores come avrebbero detto i Latini, ciacoe, come si dice a Venezia!
In questo fosco scenario ci sono isole da tempo di proprietà privata che sopravvivono agli tsunami verbali di tante inutili polemiche, l’ultima riguarda l’isola di Poveglia, il cui destino di rinascita ha trovato l’ostacolo delle carte bollate, dilatandone i tempi di recupero.
L’intervento dei capitali privati è indispensabile per favorire una rinascita della laguna, attraverso le sue isole, ma non è un percorso così agevole. Tornando ai milioni di turisti che arrivano a Venezia ogni anno, fondamentale sarebbe che anche solo una piccola parte di loro fosse interessata alla vera storia serenissima, alle sue origini ‘terrestri’, desiderando perciò una miglior conoscenza dei luoghi ancestrali di Venezia, quel dedalo di piccole isole che hanno contribuito a fare grande una città.
Può apparire provocatorio, ma quelle migliaia di ricchi di ogni provenienza che hanno fatto a gara per accaparrarsi le ville nel paradiso artificiale sulle coste di Dubai, non avrebbero potuto o comunque potrebbero ancora interessarsi ad un’oasi privata nella originale Laguna incantata?!
Il paradosso è dato dalla perdita di memoria collettiva verso un patrimonio afferente alla città stessa, incapace oramai di gestire anche l’ordinario senza cadere in beceri interessi di micro-fazione. L’impressione è che la mancanza di consapevolezza nelle proprie potenzialità sia la peggior causa della perdurante amnesia serenissima.
L’uomo del terzo millennio può permettersi di superare i confini fisici dell’isola, è facilitato in questo compito dalla tecnologia, da comunicazioni più rapide ed immediate, purché non si tratti di ponti… Calatrava docet!

 

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