Chi non si è fermato almeno una volta in Campo San Rocco per ascoltare il cantante lirico, o il musicista di turno, esibirsi proprio di fianco all’entrata della Chiesa? E magari sedendosi proprio sulle gradinate della Scuola Grande per far riposare le gambe, dopo una giornata passata tra calli e campielli a perdere e a ritrovare la strada del ritorno, perché in fondo è questo il bello di Venezia?

In molti si riconosceranno in questa immagine un po’ romantica di Campo San Rocco, chi per averci cantato o suonato, e chi per essere stato spettatore di almeno uno di questi teatri improvvisati. Ed è in questa atmosfera, che sembra quasi appartenere a una dimensione in cui il tempo si è fermato, che la Scuola Grande di San Rocco si innalza come più imponente e silenziosa spettatrice dello stupore ammirato dei passanti.

A prima vista ciò che colpisce di più di questo antico edifico è la facciata bianca con colonnato in pietra d’Istria, che si staglia perpendicolare alla pavimentazione di masegni scuri, dando a chi la osserva la sensazione di sprofondare, mentre viene naturale alzare gli occhi al cielo per controllare che l’edificio non sia effettivamente infinito come sembra. Se ci si ferma un attimo a pensare però, non risulta poi così strano sentirsi un po’ spaesati davanti a tanta imponenza, in quanto il grande sfarzo dovuto al gusto quasi barocco delle decorazioni è alla base del progetto iniziale della Scuola, che doveva ospitare niente di meno che le reliquie del santo protettore degli appestati, un tesoro per l’epoca.

Ma la storia della Scuola Grande di San Rocco inizia ben prima della costruzione della sua magnifica sede. Fu infatti istituita nel 1478, ma i suoi membri rimasero divisi tra San Giuliano e San Silvestro, due chiese che avevano messo a loro disposizione i propri locali, in attesa che venisse creato uno spazio dedicato appositamente alla loro comunità.

Nemmeno il 1485, anno in cui vennero acquisite le reliquie di San Rocco, vide la creazione di una sede stabile, nonostante la sua necessità impellente, dovuta principalmente al bisogno di trovare un posto sicuro per custodire il prezioso tesoro.

E’ solo 25 anni dopo che, sotto la direzione di Pietro Bon, architetto progettista della Scuola, iniziano finalmente i lavori per la costruzione di un vero e proprio edificio, che sorgerà poco dopo sui terreni di San Pantalon e della Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari. La struttura ideata da Bon non differisce sostanzialmente da quella delle altre scuole veneziane – due sale sovrapposte che costituiscono il corpo dell’edificio, collegate da una scala – tuttavia alcuni dissapori in itinere vedono la sostituzione dell’architetto con la figura di Sante Lombardo, che verrà poi a sua volta rimpiazzato da Antonio Abbondi detto Scarpagnino, l’architetto della facciata e della scala interna, e anche personalità che concluse il progetto.

Alla chiusura dei lavori la Scuola Grande di San Rocco si presenta dunque divisa in due grandi Sale, quella Terrena, tre navate accessibili direttamente dal campo, e quella Superiore, dove si concludono le processioni e si tengono le riunioni. Da qui si ha inoltre accesso a una terza Sala, la Sala dell’Albergo, costruita sopra un portico passante detto “dei Morti”, il quale si collega al campo mediante un portale secondario sulla facciata. Sala Terrena e Sala Superiore sono collegate da una scala interna, detta “a tribunale”, che termina in un pianerottolo coperto da una cupola, e aperto sulla Sala Superiore.

Se però la struttura non riesce a conferire alla Scuola Grande di San Rocco una specificità propria rispetto alle altre scuole veneziane, a renderla unica intervengono le opere d’arte che la decorano. Questo edificio può infatti vantare lavori di nomi di spicco quali Giorgione, Tiziano, Giambattista Tiepolo e Francesco Pianta, ma è Jacopo Robusti, detto Tintoretto, il vero protagonista di ogni Sala.

Già dalla Sala Terrena, dedicata alla Vergine e all’infanzia di Cristo, si può notare come lo stile del celeberrimo pittore veneziano si proponga nella sua più completa espressione. In dipinti come L’Annunciazione, L’Adorazione dei Magi, La Fuga in Egitto, La strage degli innocenti, La presentazione al Tempio e L'Assunzione di Maria, è infatti già visibile uno studio delle forme e delle espressioni corporee volto a rendere la completa umanità dei protagonisti, che si trasformano da figure sulla tela a comunicatori di quelle emozioni che sono vissute ogni giorno dall’uomo comune.

Uno stile che Tintoretto applica anche ai dipinti che decorano la Sala Superiore, dedicati ai miracoli – Mosé fa scaturire l'acqua dalla roccia, Il miracolo del serpente di bronzo, La caduta della manna – e alla vita adulta di Cristo – Il Battesimo, La probatica piscina, La Resurrezione, L'Ascensione, L'ultima cena, e La moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Non manca di stile nemmeno la Sala dell’Albergo, con San Rocco in gloria, circondato dalle figurazioni allegoriche delle altre Scuole veneziane – San Giovanni Evangelista, San Marco, San Teodoro, della Carità e della Misericordia – e dalla Passione e Morte di Cristo – Cristo davanti a Pilato, Ecce homo, La salita al Calvario, La Crocifissione.

Ecco che, piuttosto che trovarsi all’interno di un edificio decorato da magnifiche opere, una volta messo piede nella Scuola Grande di San Rocco ci si sente parte di un mondo ormai lontano, ma fortemente presente e soprattutto intenzionato a renderci partecipi di ciò che sta accadendo. Questo non soltanto per la forte carica comunicativa che caratterizza le scene dipinte da Tintoretto, ma anche grazie alla plasticità di ogni animale, edificio, oggetto o persona raffigurato. E di qui è breve il passo che ci porta a individuare la vera protagonista di questo teatro ormai millenario, ovvero la luce. Ogni forma è infatti resa nella sua più concreta specificità non solo da colori e linee, ma da uno studio di luci e ombre che caratterizza la pittura dell’artista veneziano e la rende unica nel suo genere. Non si può infatti fare a meno di notare, già a prima vista, come le scene, soprattutto nei dipinti degli interni, siano trasformate in esperienze estremamente realistiche. E così diventa facile immedesimarsi in ciò che accade sulla tela, perché in fondo la luce è vita, ed è capace quindi di dare vita a una raffigurazione statica, e allo stesso tempo di comunicarci e renderci partecipi di questa vitalità.

 

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